21 aprile 2018 h 17.30
Cinema Lanteri Pisa – via San Michele degli Scalzi, 46

Film brutti. Decisamente brutti
// Enea // Chi segna vince // La guerra del Tiburtino III // Mi fanno male i capelli // Felicità // L’ordine del tempo // Educazione Fisica // Un uomo felice // Il primo giorno della mia vita // Vicini di casa // War La guerra desiderata // La figlia oscura (nei commenti brevi) // Dune // Domani è un altro giorno // Dead in a week // Una vita spericolata // Doppio amore [L’amant double] // Sono tornato //

Psicanalisi (“The doctor is in”)
// Frammenti di un percorso amoroso // Sick of Myself // Beau ha paura [Beau is afraid] // Preparativi per stare insieme … // Tre piani // Un divano a Tunisi // Doppio amore [L’amant double] //

Esistono ancora gli psicanalisti?
La psicanalisi esiste, nelle opere di Freud e di tutti gli studiosi che hanno partecipato alla sua straordinaria costruzione.
Ma gli psicanalisti, quelli del divano, ci sono ancora?
Credevo che questa professione fosse uno dei lavori scomparsi, dei lavori romantici che ricordiamo con nostalgia perché non conosciamo la fatica e la precarietà che c’era dietro.
Lo spazzacamino, il ciabattino, il riparatore di ombrelli, l’affilatore di forbici e coltelli («donne, donne, affacciatevi, è arrivato l’arrotino!»), lo psicanalista freudiano, junghiano, lacaniano («affacciatevi, si interpretano i sogni»).

Sembrava che il metodo psicanalitico, grazie, soprattutto, agli americani, si fosse trasformato in una costosa chiacchierata che, talvolta – quando il paziente era di sesso femminile e di bell’aspetto e lo psicanalista un uomo di mezz’età ancora piacente – si risolveva nel tentativo di portarsi a letto la ragazza sfruttando la sua ricerca di una figura paterna. Questo sembrava, non so se fosse vero.

Dopo il rompete le righe avvenuto intorno agli anni ’80, gli psicanalisti hanno avuto lo stesso destino dei preti, che, più o meno nello stesso periodo, hanno cominciato a parlare di religione senza attenersi alla dottrina approvata dalla santa romana chiesa a cui dicevano di appartenere.
Di conseguenza hanno perduto ogni credibilità, tranne nella pubblicità dell’otto per mille alla chiesa cattolica.
Qualcuno può arrivare a credere alle parole faticosamente elaborate da un’istituzione bimillenaria – è molto più difficile credere a ciò che dice, quando parla di religione, un tale in jeans e maglietta (come Nino D’Angelo), che scende da una motocicletta dieci HP (come Lucio Battisti), entra in una chiesa che assomiglia a una palestra e dice messa dietro a un altare che sembra un tavolo da cucina, con un coro che canta «Risposta non c’è … », sul motivo di «The answer my friend …», una canzone di Bob Dylan (Blowing in the wind).

Analogamente, gli psicanalisti hanno preso a inventarsi ognuno le sue regole, a non dare più retta a quel vecchio barbone austroungarico di Sigmund Freud, che aveva stabilito: niente contatti con il paziente al di fuori della seduta, niente rapporti personali.
Qualcuno ha abolito il divano, qualche altro si incontrava dovunque con il paziente, diventato cliente, per dargli consigli, nel caso si trattasse di un famoso regista, su come dirigere gli attori (esempio tratto dalla realtà). C’era sempre chi cercava di portarsi il paziente a letto, naturalmente se si trattava di una bella ragazza alla ricerca della figura paterna.
Di conseguenza sono diminuiti i clienti disposti a pagare una somma rilevante per almeno cinque anni (dottor Freud dixit) per parlare con uno che non interviene nella conversazione e fa di tutto per mimetizzarsi con la poltrona (qualcuno era così bravo da riuscire a sembrare un cuscino appoggiato per caso).

Esistono veramente i gemelli uguali, quelli così uguali da poterli confondere tra di loro?
Ci sono i gemelli omozigoti, provenienti da una sola cellula uovo, fecondata da un solo spermatozoo.
Da bambini si assomigliano molto, soprattutto se figli di persone che hanno il vezzo di vestirli allo stesso modo, poi, crescendo, cominciano gradualmente a differenziare lo sviluppo della muscolatura e persino i lineamenti del viso, per cui, dopo un po’, non è più così difficile distinguerli.
Anche le gemelle Kessler, le più famose della mia generazione, si distinguevano benissimo; eppure le vedevamo solo sugli schermi bombati dei vecchi televisori: indossavano le calzamaglie castigate imposte dai dirigenti democristiani e ballavano allo stesso modo.
Una era fidanzata con Umberto Orsini (che invidia!), l’altra non so, non sapevamo allora. A noi ragazzi in piena esplosione ormonale restava sempre una speranzella, non dico di incontrare una gemella Kessler, ma una di quelle ragazze tedesche bionde che attraversavano a coppie le città d’arte con un sacco sulle spalle. A quei tempi tra ragazze tedesche e giovani italiani c’era un accordo perfetto, anche se, generalmente, privo di prospettive future.

Torniamo ai gemelli.
Al cinema piacciono molto, forse per motivi economici: paghi un solo attore che interpreta due personaggi, come in questo film: una volta lo fai vedere col ciuffetto sulla fronte, una volta senza.
Abbiamo visto in Napoli Velata confondere gemelli, ma, in mezzo a tante situazioni assurde, questo era solo un dettaglio in più.

In questo film francese fanno entrambi il lavoro obsoleto di cui si parlava.
Lo fanno a modo loro: uno dei due a un certo punto dice, con aria da saputello, «sei in pieno transfert», come un autista dell’autobus direbbe: «tra due fermate arriviamo al Colosseo»; l’altro preferisce il sesso forte (nel senso di attività sessuali al limite della violenza).
Ma forse, se ho capito la trama assurda, i due gemelli non esistono, sono un prodotto della mente esaltata della protagonista (e del regista), che ha un senso di colpa (la protagonista, ma forse anche il regista) per avere cannibalizzato, nel corso della vita fetale, una possibile gemella, che ora vive nell’inconscio e si fa sentire.

A chi non è capitato di avere cannibalizzato un gemello nel corso della vita fetale? Se ne parla al mercato: «Mi dia mezzo chilo di pomodori, sono per la gemella cannibalizzata … sa, nell’inconscio la vita è più cara».

La gemella, nel sogno, esce dalla pancia come gli extratterrestri in Alien, perché, anche se cannibalizzata, si è sviluppata e ha dato luogo a una massa informe che alla fine viene estratta con un intervento chirurgico che non lascia tracce sulla pancia della ragazza.
Infatti, impegnata in una posizione del kamasutra con lei a cavalcioni del partner, in una delle scene finali, non si vede una cicatrice o un qualunque segno dell’intervento subito.

Qualche dubbio viene sul sistema sanitario francese, che non è in grado di scoprire la causa di un mal di pancia persistente e indirizza la paziente a una complicata psicoanalisi quando sarebbe bastata una semplice ecografia.
Ma forse c’è collaborazione tra il sistema sanitario francese e i registi, perché senza questo consiglio iniziale sarebbe venuta meno la parte principale della trama, già così abbastanza noiosa.

Ogni tanto ci risvegliava qualche scena ginecologica ravvicinata o qualche taglio chirurgico particolarmente cruento, ma niente aiutava a contrastare la noia.
Eppure il regista le ha provate tutte: il cuore di un gatto in una scatolina, lo stalking, l’inseguimento, per non parlare delle scene di sesso ripetitive e banali.

A un certo punto ha messo lo psicanalista e la paziente seduti in poltrona, completamente nudi, uno di fronte all’altra (i guardiani del Golders Green Crematorium di Londra, dove sono custodite le ceneri di Freud, hanno riferito che le ceneri si sono “rivoltate” … non so come se ne siano accorti).
È una scena che fa pensare, fa riflettere, induce a porsi delle domande; principalmente: sarà scomodo stare seduti su una poltrona senza neanche un asciugamani per separare la pelle dell’animale usata per foderare la poltrona da quella del culo appoggiato sopra? Sarà antigienico? Se avevano tanta voglia di guardarsi, non potevano farlo in posizione più agevole, avendo ampia disponibilità di letti?
Dev’essere una scelta che ha a che fare con l’indagine nel subconscio, in cui la protagonista del film (e anche il regista) passa tanto tempo da dover pagare un extra di affitto.
In effetti non si capiva bene quando abitava il conscio e quando l’inconscio, c’era solo un indizio ad aiutare: abitava l’inconscio quando il gatto sbarrava gli occhi e la vicina impicciona sembrava sul punto di trasformarsi in feroce assassina.
Alla fine la ragazza si è trasferita, momentaneamente, nel conscio (ma sì!), dove, dal nulla, è apparsa la madre, un personaggio di cui si sentiva il bisogno per rendere ancora più sconclusionata la trama di questo film (tratta da un libro che non conosco, ma si sa che alcuni registi hanno la capacità di rovinare i libri da cui traggono ispirazione).

Mi dispiace per Phantom Thread, ma L’amant double merita molto di più il premio come film più palloso dell’anno.