12 novembre 2019 h 19.20
Cinema La Gran Guardia Livorno – via del Giglio, 18

Altro film del regista: // Cane che abbaia non morde //

Suspense (alta tensione: thriller e/o horror)
// BlackBerry (thriller tecnologico) // Club Zero (horror alimentare) // Come pecore in mezzo ai lupi // Sanctuary (thriller psicologico) // Beau ha paura [Beau is afraid] // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Preparativi per stare insieme … (thriller psicologico) // L’ultima notte di Amore (noir metropolitano) // Holy Spider // M3GAN (thriller distopico) // Bones and All (horror cannibale) // Nido di vipere // L’homme de la cave [Un’ombra sulla verità] // La fiera delle illusioni // America Latina // Raw (horror cannibale) // Titane // Doppia pelle [Le daim] // Il sospetto [Jagten] // Favolacce // Notorious! (thriller H) // Parasite // Il signor diavolo // The dead don’t die (gli zombie sono tornati) // Border: creature di confine // La casa di Jack // Gli uccelli [The birds] (horror H) // L’albero del vicino //

Nuovo Cinema Corea
// Ritorno a Seul // Cane che abbaia non morde [Barking dogs never bite] // Next Sohee // Miracle: Letters to the President // Nido di vipere // Parasite //

Corea del Sud.
I più poveri tra i poveri, i disoccupati, vivono in un seminterrato, al di sotto del livello stradale, invaso dai parassiti.
Vivono insieme agli scarafaggi, vivono come scarafaggi; cercano di rimediare un pasto, un lavoro misero e malpagato: piegare le scatole di cartone in cui saranno messe le pizze da asporto.
In quello spazio ristretto non sempre si riesce a piegare come si deve; molte scatole non sono piegate nel modo giusto, il compenso viene ulteriormente ridotto.
Miseria nera in una società evoluta, disoccupazione che imprigiona in una condizione di non esistenza.

Se non produci non esisti, o esisti solo in un seminterrato, insieme ai parassiti, tuoi simili.

Neanche la scusa dell’arretratezza di tempi antichi per spiegare, non giustificare, per rendere più sostenibile, relegandola nel passato, nella storia, tanta esclusione dal benessere raggiunto dalla società.
Al contrario: la vicenda raccontata nel film si svolge al giorno d’oggi, in un mondo che, in gran parte, ha raggiunto la coscienza di diritti estesi a tutti, principalmente il diritto alla felicità, proclamato nella costituzione di un paese preso a modello (i giovani coreani hanno in cima ai loro sogni una borsa di studio in un’università americana).

In una società tecnologicamente avanzata (la Corea del Sud è la patria delle più importanti aziende produttrici di congegni elettronici), i poveri dispongono di smartphone, utilizzano WhatsApp, cercano, nello spazio esiguo del seminterrato, il punto in cui è possibile rimediare un collegamento wifi gratuito; lo trovano accanto alla tazza del water.

Davanti al finestrone che, da sotto in su, permette di guardare nella strada adiacente al seminterrato, un ubriaco vomita, urina.
Gli addetti alla disinfestazione spargono fumi; il padre, che ha appena visto uno scarafaggio, dice alla figlia di non chiudere l’apertura del finestrone: meglio far entrare i veleni per sterminare i parassiti che infestano l’ambiente.
I quattro disgraziati (padre, madre, una figlia e un figlio adolescenti) si trovano a respirare i fumi tossici, a tossire, a rischiare di essere sterminati anch’essi, di morire soffocati.

L’occasione creata da un bravo giovane (una persona buona, tra gli abbienti, c’è) dà al figlio la possibilità di introdursi in una casa ricca come insegnante di inglese di una ragazzina che ha bisogno di ripetizioni.
La casa in cui entra è fornita di tutti i conforti moderni e di risorse tecnologiche per proteggerla dai pericoli esterni (i poveri, la guerra nucleare, l’invasione della Corea del Nord).
Ampie sale, divani comodi, cucina moderna, vetrate, un giardino, un sottoscala pieno di ogni ben di Dio e, al di sotto, un altro ambiente, nascosto, al quale si accede con un meccanismo segreto, la cui esistenza addirittura i padroni di casa ignorano.

Si tratta di un rifugio antiatomico che il primo proprietario della casa ha fatto costruire per utilizzarlo in caso di attacco nucleare da parte della Corea del Nord; per vergogna non ha rivelato l’esistenza di questo spazio completamente chiuso, privo di finestre, agli attuali proprietari.
Solo la governante conosce l’esistenza del bunker sotterraneo, e vi ha nascosto il marito, perseguitato dai creditori dopo un fallimento.
L’uomo vive da quattro anni come un topo, rifornito del necessario per sopravvivere dalla moglie; di notte ruba dalla dispensa della casa.

Vita in una società di capitalismo avanzato e incontrollato, in cui è possibile sia arricchirsi in modo esagerato, sia precipitare nella miseria nera e nella disperazione.

Come parassiti, con la stessa determinazione dei parassiti, la famiglia povera riesce a incunearsi all’interno della famiglia ricca che abita la casa, sfrutta a proprio vantaggio le pieghe della vita di queste persone in apparenza felici, ma solo in apparenza.
In realtà si tratta di esseri deboli, ansiosi, suggestionabili, facilmente manipolabili, costretti a pagare per tutto (non sanno cucinare, non sanno guidare la macchina, non sanno allevare i figli), crudeli, capaci unicamente di disporre delle vite degli altri, di licenziare i dipendenti – l’autista, la governante – per un dubbio, per un sospetto, senza indagare, senza dare spiegazioni, indifferenti al loro destino.

Hanno i soldi, questo conta. Non si sa come li abbiano accumulati.

La moglie non fa nulla; a volte è così spossata dall’ansia da addormentarsi stando seduta sulla sedia, con la testa piegata sul tavolo; la governante sbatte le mani per svegliarla.
Il marito è un dirigente di un’industria informatica o delle telecomunicazioni, o, forse, è solo uno dei soliti manager che risolvono i problemi licenziando gli operai o dei soliti ladri della finanza: si fa abbindolare troppo facilmente per essere un esperto in qualche campo, capace di incidere sulla realtà.

I parassiti, usando abilmente la menzogna, riescono a far licenziare, uno a uno, i dipendenti della casa e a mettersi al loro posto: oltre al giovane entrato come insegnante di inglese, entra nella casa la sorella che si presenta come esperta di art-therapy, un’espressione che ha trovato su Google, per seguire un bambino affetto da crisi epilettiche.
È facile, rubacchiando parole su Wikipedia, fingere competenze in campi nuovi del sapere. Definirsi fisico nucleare è complicato, se non si hanno i titoli; definirsi esperto di art-therapy, racimolando un po’ di concetti banali, è terribilmente alla portata di tutti.
La ragazza è intelligente, sa che sta bluffando; un guaio maggiore si ha quando qualcuno si crede veramente esperto (di dieta paleolitica, di medicine alternative, di agricoltura biodinamica).
Stampare un titolo di studio fantasioso è facile. La gente è credulona; nessuno telefonerebbe per rifilarti un bidone se non ci fosse qualcuno che abbocca.
La signora è felice di avere trovato tanta competenza nella ragazza che si occuperà del figlio.
La ragazza, furbissima, riesce a far licenziare l’autista. Suo padre lo sostituisce, presentato come un autista provetto che ha prestato servizio nella sua famiglia.
Poi fa licenziare la governante dei bambini, cogliendo il punto debole della padrona di casa: il suo terrore delle malattie.
Al posto della governante viene assunta la madre della ragazza, presentata, anche lei, come semplice conoscente.
Solo il bambino affetto da crisi epilettiche si accorge che queste persone (fingono di essere estranee) hanno lo stesso odore: l’odore dello scantinato in cui abitano; i suoi genitori non prestano attenzione alla cosa.
Tutti i componenti della famiglia sono riusciti a introdursi nella casa come parassiti.

Qui comincia il thriller, la parte nera del film, perché la ex governante, licenziata, non può più aiutare il marito nascosto nel bunker.
Attraverso una serie di svolte, di colpi di scena, di lotte tra disperati senza esclusione di colpi, di minacce con lo smartphone (tenete le mani alzate, altrimenti invio il video), si arriva al dramma finale, in cui entra tutto: l’umiliazione («poca confidenza, io ti pago», dice il padrone di casa all’autista costretto a fare il pagliaccio), la ferocia, la pazzia, ma anche la ribellione dell’uomo che ha sentito dire con disprezzo che lui puzza, che riempie la macchina del suo cattivo odore.

Lotta senza esclusione di colpi, dei poveri contro i ricchi, ma anche dei poveri tra di loro: nessuna solidarietà, nessuna pietà.

I giovani sono razionali, metodici e determinati, privi di scrupoli; hanno assorbito in pieno il cinismo della società in cui vivono. Credono solo nella rivalsa, nell’arricchimento.
Il padre, che ha preso il posto dell’autista, in un momento di pausa si rammarica per la sorte dell’uomo che hanno fatto licenziare; la figlia lo rimprovera, lo corregge: «babbo, tu non devi pensare ai problemi di uno sconosciuto, tu devi pensare a noi, tu devi pensare a me!».

Nel contrasto tra persone che non possono essere uguali, perché sono separate dall’odore, ineliminabile, tra ricchi ansiosi e poveri determinati a sfuggire alla miseria, a godere dello stesso benessere dei ricchi, a tutti i costi, si svolge la seconda parte del film, che è la descrizione di un incubo.
Fa star male, come quei brutti sogni da cui ci risvegliamo all’improvviso, stralunati, mentre ancora viviamo l’angoscia, quando ci capita di assopirci sulla poltrona in posizione scomoda.

Quando mi capita, mi domando: da dove viene tutta questa paura? In quale parte nascosta della mente si è accumulata tanta angoscia? Quali esperienze della vita reale hanno prodotto il terrore, che si è conservato e ora si esprime nei sogni?
Il ricordo del terrore vissuto nell’incubo mi terrorizza, perché non so quali realtà lo abbiano prodotto.
Possibile che nella prima infanzia un bambino possa avere vissuto tanta sofferenza, avere poi, divenuto adulto, dimenticato gli episodi reali e conservato solo il terrore in una parte profonda della mente?

Ho sentito un bambino portato in giro nella carrozzina piangere disperatamente, circondato da adulti che cercavano vanamente di calmarlo. Mi domando se la paura che si rivelerà dopo tanti anni in un sogno abbia cominciato ad accumularsi proprio ora, o addirittura prima, quando il neonato è stato proiettato in questo mondo.

Se non è così, da dove viene l’angoscia che viviamo negli incubi, che normalmente dimentichiamo al risveglio, e ricordiamo solo se ci siamo assopiti sulla poltrona in posizione scomoda?

Forse serve solo a ricordarci che non possiamo mai stare tranquilli: anche quando ci sentiamo in pace con noi stessi e con il mondo (capita) è possibile che in uno spazio interrato, sotto alla nostra casa (come nel film) o nella nostra mente, un uomo viva nascosto e ogni tanto esca dal suo rifugio, di notte, per prendere un po’ d’aria o rubare del cibo dal frigorifero.

Sono questi gli incubi che Bong Joon-ho, geniale regista coreano, è riuscito a rappresentare nel film.

Ho visto il film in una serata di pioggia, a Livorno, in una sala del centro storico che un po’ ricorda la casa ipermoderna descritta nel film – la griglia metallica per l’accesso al sistema fognario e per lo smaltimento delle acque piovane, indicata con una freccia nella foto messa in testa al commento, potrebbe essere l’ingresso dell’ambiente interrato.
Nel pomeriggio avevo trascorso alcune ore ad ammirare i quadri di Amedeo Modigliani esposti nel Museo della Città per la mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse, in occasione del centenario dalla morte dell’artista (1920 – 2020).
Una bella giornata, iniziata con una passeggiata nel centro storico di Livorno (sotto l’ombrello, per ripararmi da una pioggia leggera ma costante), seguita dalla visita alla casa natale di Modigliani, e poi, dopo pranzo, dalla visione emozionante di capolavori della pittura che, finora, avevo visto solo riprodotti, conclusa dalla visione di un capolavoro del cinema: Parasite.