10 gennaio 2020 h 17.45
Cinema Principe Firenze – Viale Giacomo Matteotti

La Storia siamo noi
// La zona d’interesse (la penetrazione del nazismo nelle coscienze) // Napoleon (1769 – 1821) // Oppenheimer (l’inizio dell’era nucleare) // Casablanca (amore e guerra) // Rapito (il caso Mortara) // “Buongiorno, notte” e “Esterno notte: prima parte” (stesso commento; il caso Moro) // “Esterno notte: seconda parte” (il caso Moro) // Belfast (il conflitto nordirlandese) // L’ombra del giorno (fascismo e persecuzione degli ebrei) // Illusioni perdute (la società francese negli anni della Restaurazione) // Est Dittatura Last Minute (i paesi dell’Est negli anni dell’Unione Sovietica) // 1917 (la prima guerra mondiale) // Jojo Rabbit (nazismo) // Herzog incontra Gorbaciov (la fine dell’Unione Sovietica) // Hammamet (la fine di Craxi) // J’accuse (il caso Dreyfus) // La Favorita (i guai della Gran Bretagna al tempo della regina Anna, 1708) // Cold War (la guerra fredda) //

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
// Another End // Silent Land (la morte di un immigrato) // Marx può aspettare (la morte di un fratello) // Se c’è un aldilà sono fottuto (la morte di Claudio Caligari) // Hart Island, Bronx (racconto) // La bicicletta (racconto) // Si vedono i primi segni (racconto) // Hammamet (la morte di Craxi) // Il settimo sigillo (la morte) // Il sacrificio del cervo sacro (la maledizione) //

Avevo pensato di inserire questo commento nel tema “I vecchi”.
Craxi è stato indubbiamente un personaggio importante della storia politica recente di questo paese, quindi “La storia al cinema” va benissimo.
Nel film appare come un povero vecchio che ha perduto il potere e, soprattutto, il carisma. Le due cose non vanno necessariamente insieme.
John Elkann ha potere ma, differentemente dal nonno, non ha carisma: se mettesse l’orologio sopra il polsino, come fece il nonno, nessuno se ne accorgerebbe.
Beppe Grillo aveva carisma ma non ha mai avuto potere oltre la cerchia dei grillini; ha avuto il potere del proprietario del circo equestre di una volta: poteva cacciare il giocoliere se gli faceva ombra; ora è un comico spompato che ripete battute riciclate.

Il tema del film non è la vecchiaia.
È la morte: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

Primo episodio: Craxi si chiude in macchina fuori dell’aeroporto per non salire sull’aereo che dovrebbe portarlo dalla Tunisia a Milano per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico.
È costretto a un gesto di totale impotenza; non gli basta dire: «Non vado».
Sembrava si fosse convinto, aveva avuto assicurazioni: a Milano non sarebbe stato incarcerato (era condannato con sentenza definitiva), tuttalpiù avrebbe dovuto sopportare una sorveglianza discreta fuori della stanza d’ospedale.
Il vecchio leone ferito non cede e, con quel gesto, mette fine alla propria esistenza.

Secondo episodio: la figlia di Craxi, che nel film si chiama Anita, gli procura un incontro con l’amante.
Se l’episodio si è svolto come è rappresentato nel film, con la figlia che prima cerca di impedire, poi agevola l’incontro, mi domando: non poteva decidere lui? Era ridotto come un ragazzino? Era così malridotto da farsi accompagnare dalla figlia a un incontro galante? Non posso crederci. Spero sia un’invenzione.
In quell’incontro, immaginato dagli autori, se non è stato raccontato dall’amante, Craxi sembra avere perso ogni speranza, sembra pronto a lasciarsi andare.

Non sono mai stato iscritto ad alcun partito politico. Se non ci fosse stato Craxi (ma la storia, anche individuale, non si fa con i se), penso che, prima o poi, mi sarei iscritto al Partito Socialista Italiano.

Già tanti anni fa, quando ho cominciato a muovermi autonomamente – erano gli anni in cui gli studenti si dividevano tra una maggioranza sparpagliata in una miriade di formazioni dell’ultrasinistra e il Partito Comunista (più alcune frange neofasciste e i chierichetti, allora chierichetti, poi furono promossi, di Comunione e Liberazione) – mi attraeva la storia del PSI, l’unico partito che riusciva a coniugare giustizia e libertà, ideali incarnati da un movimento, Giustizia e Libertà, appunto, fondato da Carlo e Nello Rosselli per organizzare l’antifascismo non comunista.

Nel 1942 Giustizia e Libertà aveva dato origine al Partito d’Azione di Ferruccio Parri, che, nel 1945, dopo la fine della guerra e alcuni governi provvisori di breve durata, fu presidente del Consiglio del governo di unità nazionale, sostenuto da tutti i partiti che avevano partecipato alla Resistenza (Comitato di Liberazione Nazionale, CLN).
Il governo di unità nazionale durò meno di un anno; il Partito d’Azione, che aveva tra i suoi esponenti personaggi del calibro di Piero Calamandrei, Ugo La Malfa, Norberto Bobbio, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, ciascuno portatore di una propria visione politica (tra liberaldemocrazia e socialismo democratico), non riuscì a raggiungere le masse e scomparve rapidamente (1946: scarsi risultati alle elezioni; 1947: ultimo congresso, scioglimento e confluenza nel partito socialista).

Saltiamo agli anni ’70: l’Italia è governata dal centro-sinistra. Il partito Socialdemocratico (Giuseppe Saragat) è diventato una corrente esterna della Democrazia Cristiana; il partito Repubblicano (Ugo La Malfa) si occupa quasi esclusivamente del buon andamento dell’economia; la sorella simpatica dell’avvocato Agnelli fu deputata, senatrice, parlamentare europea e ministra per questo partito.

Ero cattolico per estrazione familiare, ma non per scelta individuale, quindi niente Democrazia Cristiana.

È sottinteso che il mio interesse, fin da allora, volgeva solo a sinistra. Ritenevo, e ritengo tuttora, che la destra sia stata sporcata in maniera indelebile dal fascismo, una tragedia che ha portato alla vergogna dell’alleanza con Hitler e delle leggi razziali.
Non ignoravo la differenza tra il fascismo e la destra conservatrice che, per lunghi periodi, prima dell’anno nefasto della marcia su Roma, aveva ben governato.
Però i partiti di destra degli anni ‘70 e i due attuali (Lega salviniana e Fratelli d’Italia) non scavano una profonda trincea che li separi da neofascisti e neonazisti. Salvini è una banderuola, Fratelli d’Italia ha nel simbolo una lugubre bara sovrastata da una minacciosa fiamma che merita solo di essere spenta.

I radicali hanno svolto un ruolo importante (diritti civili, divorzio), ma anche contribuito a ridicolizzare l’istituto del referendum – ricordo i sette referendum del 1997, per i quali fummo chiamati a votare su argomenti diversissimi (l’accesso dei cacciatori ai fondi privati, le carriere dei magistrati, l’abolizione dei poteri speciali riservati al Ministero del Tesoro nelle aziende privatizzate). Nessuno raggiunse il quorum: chi avesse voluto votare con cognizione di causa avrebbe dovuto farsi prima una cultura giuridica ed economica approfondita.

Il partito Radicale inaugurò la moda del partito che si identifica interamente con una persona, in questo caso Marco Pannella, il cui istrionismo nessuno riusciva a contenere.

Il Partito Socialista era affidabile, sicuramente antifascista, aveva nella sua storia Giacomo Matteotti, aveva dato all’Italia il Presidente della Repubblica più amato di sempre: Sandro Pertini. Era impegnato nella difesa della libertà su tutti i fronti: la Grecia dei colonnelli, l’Ungheria e la Cecoslovacchia che si erano ribellate all’oppressione sovietica, il Cile calpestato da Pinochet con il sostegno della CIA.
Purtroppo, in un congresso, il partito finì nelle mani di un gruppo dirigente che lo utilizzò per conquistare il potere, senza badare ai mezzi, un gruppo raccolto intorno a Bettino Craxi.
Si raccoglievano tangenti per il partito, «ma qualcosa ci restava, attaccato alle dita», dice un personaggio del film.
Anche il figlio di Craxi, Bobo, in un’intervista al Corriere della sera, ammette: «Vero è che a molti di quelli che s’occupavano di denaro, qualcosa è rimasto in tasca.» [Il Corriere on Line: intervista di Francesco Battistini]

Su Craxi che si può dire?
Fu condannato con sentenza definitiva (tre gradi di giudizio: conferma in Appello e in Cassazione), non da un tribunale speciale fascista ma da un tribunale della Repubblica Italiana, le cui sentenze un ex presidente del Consiglio avrebbe dovuto rispettare.
Si trattava dello stesso tribunale impegnato sul fronte della mafia e del terrorismo politico, che avrebbe portato a sentenza processi pericolosi per i giudici (nuove brigate rosse), senza farsi condizionare dalle minacce dei delinquenti.
Craxi si sottrasse alla Giustizia di un paese democratico, come un brigatista qualsiasi.

Il figlio, sempre in quell’intervista, ripete la litania (ripeti una menzogna, per molti diventa verità): «Laggiù, lui si mise al riparo. E comunque non riconosceva i tribunali che lo condannavano. Fu il rifiuto d’una legislazione straordinaria, mai votata dal Parlamento, che applicava le norme in forma arbitraria. Fu un esilio», senza rendersi conto, forse, di usare le stesse parole utilizzate dai brigatisti quando erano irriducibili, prima di arrendersi e diventare “pentiti” o “dissociati”.

In altra parte parla addirittura di golpe, con estrema superficialità.
Parla di magistrati aguzzini.

Ma chi è quest’uomo? Come si permette di usare espressioni così pesanti verso magistrati che non hanno fatto altro che applicare la legge? Nessuna contestazione i magistrati hanno subìto dagli organi competenti, fra i quali la Costituzione non prevede la famiglia Craxi e i suoi amici.

Riguardo al risultato dei ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo presentati da Bettino (Benedetto) Craxi e proseguiti dai familiari, basta leggere i dispositivi delle sentenze, disponibili su Google, per trovare conferma della sostanziale correttezza dei processi esaminati, conclusi in primo grado, in Appello e in Cassazione (sentenze della Corte di Strasburgo 2001, 2002, 2003). Due ricorsi furono accolti, ma non sulla base di elementi tali da invalidare i processi; infatti l’unica conseguenza fu un risarcimento di 6.000 euro da dividersi fra i tre eredi. Un ricorso fu respinto con questa motivazione: “Non è possibile pensare che i rappresentanti della Procura abbiano abusato dei loro poteri”; il procedimento “seguì i canoni del giusto processo”; le accuse ai giudici “non si fondano su nessun elemento concreto. Il ricorrente è stato condannato per corruzione e non per le sue idee politiche”.

Va rilevato che, oltre alle due sentenze definitive per complessivi dieci anni di carcere, erano in corso altri procedimenti giudiziari, che si estinsero per la morte dell’imputato: uno non concluso, tre conclusi con sentenze non definitive. Per questo motivo il presidente della Repubblica Ciampi non avrebbe potuto prendere in considerazione l’ipotesi della concessione della grazia, ammesso che l’avesse ritenuta opportuna (la grazia si concede solo, su proposta del ministro della Giustizia, a un condannato con sentenza definitiva, non latitante, che ha in parte scontato la pena). D’altra parte, per farsi operare in Italia, avrebbe solo dovuto accettare un piantonamento, probabilmente discreto, in ospedale e, successivamente, date le sue condizioni di salute (grave forma di diabete), gli arresti domiciliari.

Devo dire che mi dispiace reagire alle espressioni dure usate da Bobo Craxi con un tono altrettanto duro; mi dispiace perché mi è sempre sembrato una brava persona, pacata; mi suscita simpatia vederlo in tutte le fotografie con una chitarra (probabilmente abbiamo in comune l’amore per le belle canzoni). Credo che voglia opporsi alla traslocazione forzata del padre dalla sinistra al centrodestra o, addirittura, alla destra estrema salviniana.
Questa operazione sarebbe sbagliata nei confronti di un uomo che, secondo me, ha commesso degli errori, soprattutto nella scelta dei collaboratori; le sentenze dicono che ha commesso dei reati (la legge è legge), ma si è identificato per tutta la vita con un partito di sinistra (la sua formazione politica era nenniana, della corrente che si chiamava Autonomia socialista).

Capisco la reazione di un figlio alla sofferenza del padre, però, secondo me, non dobbiamo farci offuscare la mente dall’affetto che nutriamo verso i genitori, dobbiamo lasciare autonomo il nostro giudizio.
Secondo me i genitori, se hanno un rapporto sano con i figli, desiderano questo: un figlio o una figlia che li contesta, usando il ragionamento, non il ricatto affettivo.
Non dev’essere obbligatorio difendere sempre, a spada tratta e per partito preso, i propri familiari. Rinfoderiamo le spade, lasciamo il partito preso e cerchiamo di ragionare.

Io sono disposto ad ammettere che la folla urlante, armata di monetine, era costituita da bestie feroci, desiderose solo di sfogare la propria aggressività, mosse unicamente da rancore sociale: la famosa pancia a cui molti politici attuali si rivolgono, gli stessi politici che agitavano il cappio in Parlamento.
Aggiungo che Craxi dimostrò coraggio, affrontò le bestie a viso aperto, da garibaldino, e questo gli fa onore.
Se avesse affrontato la sentenza con lo stesso piglio, continuerei ad avere rispetto per lui.
Invece scappò, alimentando tante leggende e mettendosi in una situazione insostenibile.

C’è chi rimpiange l’uomo forte che, a Sigonella, oppose i carabinieri ai marines, rischiando un incidente gravissimo con gli Stati Uniti e proteggendo, di fatto, terroristi che avevano ammazzato a freddo un americano di 79 anni che si muoveva su una carrozzella ed era stato appeso alla balaustra della nave, e avevano costretto il parrucchiere di bordo e un marinaio italiano a buttarlo in mare. Gli assassini furono processati in Italia, come volle Craxi, dal momento che i delitti erano stati commessi su una nave italiana, poi, dopo alcuni anni, come succede sempre in Italia, se la cavarono in vari modi, ma il capo dell’organizzazione a cui appartenevano, Abu Abbas, che aveva mediato in quanto solo a lui obbedivano (si sarebbe dovuto indagare se era stata la sua organizzazione o lui direttamente a mandarli per poi manovrarli) fu travestito e fatto scappare in aereo da Roma con la complicità del governo di allora. Spadolini provocò una crisi di governo che subito si risolse.

L’Italia, non da allora, aveva rapporti ambigui con le organizzazioni terroristiche palestinesi, condite da amicizie personali con i capi di quelle organizzazioni, il cui risultato fu che il nostro paese divenne a lungo terra di transito per terroristi, armi, esplosivi, una parte dei quali restavano da noi ed erano impiegati dalle organizzazioni “terroristiche” locali (mafia, brigate rosse, gruppi neofascisti) per clamorosi attentati.

Pare poi eccessivo parlare di difesa della sovranità per un presidente del Consiglio al quale … “Ronald Reagan al primo incontro a tu per tu gli chiede: di quanto tempo pensi di aver bisogno per il tuo job? E Craxi: «Tre anni almeno!» È la risposta che il presidente degli Stati Uniti vuole sentire: suona come la garanzia di un po’ di stabilità. Era ora.” (da: Marcello Sorgi – Gli ultimi giorni di Craxi – Einaudi Stile Libero).

Il job a cui il presidente degli Stati Uniti faceva riferimento prevedeva, tra l’altro, il definitivo allontanamento del PCI da ogni possibilità di partecipazione al governo.
Craxi non rispose «fatti i cazzi tuoi, la politica italiana la decide il Parlamento italiano» (costringendo la traduttrice a trovare l’espressione americana corrispondente a “fatti i cazzi tuoi”).

Anche a proposito della installazione dei missili Cruise nella base NATO di Comiso, avversata dai comunisti e appoggiata dai democristiani, il segretario del PSI Craxi, ago della bilancia, ebbe una posizione – emerge dal libro di Sorge prima citato – allineata alla richiesta degli americani, una posizione che forse si potrebbe addirittura definire eterodiretta, considerando le pressioni a cui era stato sottoposto.

(Marcello Sorgi – Gli ultimi giorni di Craxi – Einaudi Stile Libero) “Frowik (segretario politico dell’ambasciata; n.d.r.) va a prendere Aaron (collaboratore di Carter; n.d.r.) a Fiumicino e lo informa: Craxi darà il suo ok, Cossiga e la DC altrettanto, alla fine i «maledetti Cruise», come li chiamano tra di loro, saranno installati. Aaron tira un sospiro di sollievo. Il 16 dicembre la Camera approva la mozione sui Cruise con 313 voti a favore e 264 contrari. Il Senato segue a ruota, il 10 dicembre. Gli americani non dimenticheranno l’aiuto di Bettino.”

Si moltiplicano le interviste a presunti esperti, testimoni e parti in causa, i quali affermano di sapere cose che i comuni mortali non conoscono, che non hanno mai rivelato nei tribunali o negli uffici della questura (forse per il timore che qualcuno chiedesse: perché non sei intervenuto, non hai denunciato?), lanciano un’occhiata furba verso l’intervistatore, il fotografo o la telecamera e dichiarano che il cerchio dei ladri era molto più largo, si estendeva nello spazio e nel tempo. Tutti ladri, nessun ladro.

È probabile che i delinquenti fossero molti di più di quelli processati e condannati, ma stabiliamo una regola, altrimenti non ne veniamo fuori e ogni discussione diventa impossibile: «rigore è quando arbitro fischia» (Boskov), altrimenti, per giustificare i quaranta ladroni, qualcuno dirà che anche San Giuseppe, nel presepe, prendeva tangenti dal bue e dall’asinello.

Craxi si difese dicendo: non solo io commettevo reati, i magistrati hanno preso solo me (questa è la sintesi del suo discorso alla camera).
Non è vero, anche altri furono costretti a difendersi con la bava alla bocca. Questa è una difesa che qualunque ladruncolo, qualunque assassino, potrebbe condividere: perché ve la prendete solo con me? Tanti ladri, tanti assassini hanno commesso delitti e non sono stati condannati.
Una difesa puerile, indegna di un ex presidente del Consiglio, di un leader politico, di uno statista.

Risultato: la distruzione del partito Socialista Italiano.
Probabilmente fu proprio questo atteggiamento a portare i socialisti, non solo loro, a commettere reati lasciando tracce evidenti: l’impudenza basata sulla sicurezza dell’impunità.

In Francia un partito socialista esiste (Parti Socialiste, PS), perde voti, aumenta i voti, si rifonda senza cambiare nome (la fissazione dei politici italiani: cambiare nome ai partiti, perdendo il legame con la storia e con gli elettori legati ai ricordi, personali e familiari).
In Germania c’è un partito socialdemocratico (SPD, Sozialdemokratische Partei Deutschlands) che partecipa a una “grande coalizione” di governo (stesso discorso: perde voti, aumenta i voti, cambia segretario … fa politica).
In Gran Bretagna esiste un partito socialista (il Labour Party), che ha partecipato alle ultime elezioni, ha avuto una sonora sconfitta, ma rientrerà nell’agone politico, ha cambiato segretario, si riprenderà quando Boris Johnson dimostrerà sul campo la propria pochezza.
I paesi nordici sono governati, bene, da sempre, da gloriosi partiti socialisti e socialdemocratici.
In Italia no. Il partito socialista è ridotto a una cosa residuale, patetica.

Abbiamo presente che fine ha fatto l’Avanti? In quali mani è andato a finire, prima di chiudere? Mi riferisco alla versione cartacea, ora c’è una versione online impegnata nella difesa del periodo craxiano.
Non c’entra con quel periodo, è accaduto dopo, ma ci dicono qualcosa i nomi Lavitola, De Gregorio? Ci ricorda qualcosa l’espressione “fondi per l’editoria percepiti illegittimamente”? O si dimentica tutto, si giustifica tutto, è sempre colpa degli altri? Nel caso dell’Avanti, la magistratura ha fatto bene a cercare di vederci chiaro o i giudici sono stati aguzzini, come dice Bobo?

L’Avanti su carta non ebbe una chiusura onorevole, ma vergognosa per un giornale che, quando comandava il duce, e poi, quando comandarono i nazifascisti, era diffuso con sacrificio, in clandestinità, da gente che rischiava di finire in prigione, torturata, impiccata, fucilata.
Vogliamo dimenticare che l’Avanti di Nenni, di Riccardo Lombardi, di De Martino, di Pertini, per un periodo, nei primi anni duemila, è diventato giornale di centrodestra, con direttore Walter Lavitola?

Di chi è la colpa della distruzione del partito Socialista Italiano?

È colpa di quegli amici e ex collaboratori di Craxi che, a detta del figlio, vivevano da maragià: «Io mi sento il figlio d’un figlio del partito. E ho assolto la mia responsabilità come figlio e come militante. Con lui sono in pari. È stato un padre da bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: prima veniva la politica, poi il partito, poi il Paese, poi gli amici e, solo a un certo punto, arrivavamo anche noi. Non fosse stato così, oggi non avrei difficoltà di tutti i generi. Lui ebbe amici o ex collaboratori che hanno vissuto come maragià. Io mi son trovato sul lastrico economico.» [Il Corriere on Line: intervista di Francesco Battistini; riproduzione senza scopo di lucro]

Che io sappia, il nuovo partito socialista non ha mai fatto una seria autocritica su quel periodo; basta leggere gli editoriali dell’attuale versione online dell’Avanti per rendersene conto.

Del film che cosa si può dire?
Pierfrancesco Favino conferma di possedere una grande qualità che fa di lui un grande attore. In ogni film si trasforma completamente, a parte il trucco: cambia lo sguardo, il modo di parlare, di muovere le mani, la postura. Ricorda gli attori cinematografici di una volta, quelli dell’epoca d’oro, soprattutto Gassman e Tognazzi.

Voglio distinguermi nell’elenco degli elogiatori di Favino: è bravissimo, il trucco e l’interpretazione sono perfetti; però il vero Craxi me lo ricordo più alto, più imponente. Forse negli ultimi mesi era incupito, piegato su se stesso, ma non credo si fosse accorciato. È solo un dettaglio e, forse, una mia impressione; comunque, non si può chiedere a un attore di allungarsi.

Un bel film, ben girato; il regista e gli sceneggiatori hanno avuto a disposizione la villa di Craxi ad Hammamet, i luoghi dove ha trascorso l’ultima fase della vita.
La moglie (il personaggio del film) sembra una farfalla indifferente alla sorte del marito, un po’ svampita, sempre sorridente. È l’impressione che si ricava dal personaggio; bisogna tenere presente la differenza tra un film e la realtà. Il film è sempre finzione, anche quando prende spunto da fatti veri.
Il personaggio del figlio, che nel film si chiama Francesco, sembra poco apprezzato dal padre; è un personaggio poco sviluppato, di cui non si capisce la psicologia; sembra quasi timoroso, soprattutto quando porta la famosa lettera che fa infuriare Craxi, inviata dal politico che finge solidarietà ma non ha l’intenzione o il coraggio di assumersi delle responsabilità. Non so se la lettera sia tra i documenti di Craxi, se la reazione fu quella rappresentata nel film.

C’è un personaggio un po’ strano e improbabile, un giovane che, forse, riassume diverse persone che girarono intorno alla corte del re decaduto negli ultimi anni.
Il personaggio della figlia si chiama Anita, è sempre accanto al padre.
Nell’intervista al Corriere più volte citata, Bobo Craxi ha ridimensionato la presenza costante della figlia di Craxi, quella vera. Ha detto: «Diciamo che Gianni Amelio s’è preso qualche licenza poetica. Per esempio su mia sorella: Stefania ebbe una forma di rimorso, per essere stata lontana in quegli anni, ma capisco che nel racconto il rapporto padre-figlia funzioni meglio …» [Il Corriere on Line: intervista di Francesco Battistini; riproduzione senza scopo di lucro].