13 maggio 2018 h 17.30
Cinema Il Portico Firenze – via Capo di Mondo, 66

Altri film del regista: // The Young Pope // È stata la mano di Dio //

I vecchi
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“Sesso e potere” è una formula antica e un’accoppiata vincente in ogni epoca.
Detta così si riferisce soprattutto alle donne; sono rari i casi di uomini che hanno raggiunto posizioni di potere per le loro attitudini sessuali e non credo sia mai stato proposto a Rocco Siffredi di presentarsi alle elezioni per un seggio di deputato o di senatore della repubblica.
Cicciolina, invece, alla fine degli anni ‘80, fu presentata da Marco Pannella e fu eletta, non credo per una sua competenza specifica nell’amministrazione della cosa pubblica, nonostante la sua indubbia capacità di amministrare una cosa privata.
Per gli uomini la formula si dovrebbe leggere al contrario: il potere moltiplica le possibilità, per chi lo raggiunge, di esercitare una forma di ginnastica compulsiva che ha a che fare con il sesso solo perché coinvolge gli organi sessuali.
Che si tratti di esercizio ginnico è evidente fin dalle prime scene di Loro: un bestione dall’aria sofferente, nel sottocoperta di una barca, si stressa per riuscire a eiaculare (la ragazza serve solo ad aprire le gambe).
Poco dopo, in una situazione analoga, un giovane di belle speranze e di pochi scrupoli ha il colpo di genio che dovrebbe consentirgli di fare il passo avanti: da puttaniere locale (perfetto in questa parte Scamarcio col suo accento pugliese) a puttaniere nazionale «a sostegno del divertimento dell’imperatore», come si espresse Veronica Lario. Sull’argomento doveva essere bene informata, direi ferrata; infatti inventò la più sintetica definizione dell’ambiente descritto da Loro: “ciarpame senza pudore”.

A proposito di Veronica Lario: non sono fatti nostri, ma in tanti ci siamo chiesti come mai una donna bella e intelligente, che ha recitato a teatro ad alti livelli, che legge Saramago, come mai … non so neanche come dirlo … come mai …
Non si capiva subito? Le barzellette sceme, quell’aria da dongiovanni cafone, il modo di parlare affettato, il bisogno di circondarsi di adulatori … non era evidente che tipo fosse, anche quando contribuiva a cementificare Milano?

Indro Montanelli capì troppo tardi con chi aveva a che fare, ma alla fine, a sue spese, capì. Basta leggere i pochi numeri di La Voce che riuscì a pubblicare, dal marzo ‘94 all’aprile ‘95, dopo la tragedia del Giornale.
Una volta inquadrato il soggetto (non ci voleva molto), Veronica Lario perché ha impiegato tanto tempo per difendere la propria dignità?
Indubbiamente sono fatti suoi su cui non possiamo entrare. È solo un dubbio, una domanda che in tanti ci siamo posti (tanti dei pochi con cui parlo, in generale e, in particolare, su questo argomento).

Torniamo alla ginnastica.

Nel “ciarpame senza pudore” la donna giovane non sceglie, deve mettersi a disposizione di uno che fisicamente le fa schifo, uno che ha il culo flaccido (citazione colta; che fine avrà fatto l’autrice?), ha la faccia piena di rughe, se non le spiana con la chirurgia plastica, ha subìto una prostatectomia (che, anche quando è parziale, non è il miglior viatico per esprimere potenza sessuale). Senza contare che potrebbe essere suo nonno.
Si tratta di prostituzione.

Diciamo la verità: solo uno scemo può credere che le ragazze dedite all’adulazione di un vecchio rifatto mettono il proprio corpo a sua disposizione perché attratte dal fascino del degrado fisico connesso all’avanzare degli anni. Se così fosse, le residenze per anziani sarebbero piene di ragazzine che fanno a gara per cambiare il pannolone ai vecchietti.

La realtà è che molte ragazze (e alcuni babbi, alcune mamme) sono attratte dalla esibizione della ricchezza e dalla possibilità di risolvere la propria situazione economica.
È brutto, ma è così: in questo paese cattolico, in cui la famiglia è citata continuamente come istituzione “sacra”, vi sono babbi e mamme felici se la figlia si prostituisce con uno che rappresenta soldi e potere.

Il volto del potere è completamente plastificato; un occhio ogni tanto si chiude da solo, ma è un’abitudine contratta dalla frequentazione di notabili condannati per associazione esterna di stampo mafioso. Si sa che in certi ambienti si comunica con segni convenuti.
La chioma fluente del potere … (fluente? Ma davvero?) … ha un bel colore asfalto, la pelle è fresca come la fronte di una bambola, l’espressione è viva, ogni tanto.

Nella seconda parte si racconta di quando il potere politico è momentaneamente sfuggito (restano i soldi). Il venditore di sogni non riesce a vendere la sua merce, il potere economico potrebbe essere distrutto dall’intervento della magistratura, il vecchio imbonitore non imbonisce più nessuno; è solo, è in crisi.

Nota (Treccani)
Imbonire – verbo transitivo.
Attirare con lo sfoggio di una parlantina ciarlatanesca, cercare di convincere qualcuno ad acquistare una merce, a votare per un partito o ad assistere a uno spettacolo. Es. imbonire il pubblico. Da “b(u)ono” col prefisso in-; prima attestazione: 1640

Perfetto: il verbo è giusto. Posso continuare con il commento.

Qui il grande Toni Servillo si sdoppia in un colloquio intorno a un tavolo tra lui e il socio in affari, quello che gli ha aperto il mondo delle banche e delle assicurazioni ed è quasi un’altra parte di sé, anche se più naturale, non rifatta, non malata di sesso, più focalizzata sulla cosa che gli riesce meglio: fare soldi.
Il doppione benpensante gli dà il consiglio giusto: per uscire da questa situazione di depressione e di pericolo devi convincere cinque senatori della repubblica a passare dalla tua parte. Per te, ai bei tempi, era un gioco da ragazzi convincere la gente a farsi trascinare in un sogno che faceva solo i tuoi interessi; ritrova il grande piazzista che c’è in te.

Nota (Treccani)
Piazzista, sostantivo maschile.
Dipendente di una ditta commerciale, incaricato della propaganda e del collocamento dei prodotti in una data zona. Da “piazza”, nel significato commerciale. Prima attestazione: 1901

Perfetto: il sostantivo è giusto, se, in questo caso, “dipendente” è riferito ai primi finanziatori. Posso continuare.

Sorrentino s’inventa il tentativo, assolutamente verosimile, dato il soggetto, di convincere una donna qualsiasi, pescata a caso nell’elenco telefonico, con un nome falso, a comprare un appartamento che ha il salotto largo quattro volte l’altezza del piazzista – per civetteria dice di essere alto un metro e settanta: i capelli e l’altezza sono il cruccio della sua vita.
L’appartamento non esiste, è un sogno.
La donna, purtroppo, come gli italiani, non gli sbatte il telefono in faccia; neanche i senatori lo fanno: erano pronti a vendersi, aspettavano l’offerta.
Siamo sempre in zona prostituzione, anche se con altri mezzi: non tutti hanno gambe e seni adeguati a esercitare il mestiere, ognuno vende quello che ha.
Il risultato è che abbiamo sentito uomini politici, rappresentanti del popolo, figure istituzionali – certamente hanno qualche problema quando si guardano allo specchio – affermare che il presidente del consiglio in carica poteva credere che una ragazza scappata da una comunità di accoglienza in Sicilia fosse la nipote di un capo di stato estero.
Queste degne persone affermavano che il presidente del consiglio in carica non disponeva dei mezzi per capire chi fosse esattamente una ragazza che riceveva in casa. Una cosa offensiva, soprattutto nei riguardi dello stesso presidente del consiglio, descritto come uno sprovveduto dalle valenti persone di cui sopra.
Si dirà: forse lo consideravano uno sprovveduto; dai contatti che avevano con lui si erano convinti che fosse un perfetto imbecille: traffichino, capace di fare soldi, imbonitore, piazzista, ma imbecille (non sarebbe il primo caso).
Anche se così fosse, queste persone certamente hanno qualche difficoltà quando si guardano allo specchio.

Nel film di Sorrentino ci sono tutti: puttanieri, puttane, cocainomani, politici leccaculo, oltre, naturalmente, alle onnipresenti ragazze disposte a mettersi a disposizione per un appartamentino, per una spilla a forma di farfalla, per una particina in una qualunque scemenza trasmessa in uno dei canali della rete privata conquistata con l’appoggio dei politici leccaculo anzidetti.
Il film è la rappresentazione completa di un’epoca; una rappresentazione molto più fedele del Caimano di Nanni Moretti, perché focalizzata sulla descrizione non solo di lui, ma soprattutto di loro: tutta quella gente disposta a cedere la propria dignità per una misera ricompensa (soldi, ginnastica sessuale, un posticino precario alle dipendenze di un potere provvisorio).
Alle spalle di tutto, secondo Sorrentino, a muovere le carte c’è un dio che appare e sparisce, decide, dispone e nasconde con un asciugamani il suo volto anche quando gli procurano una vittima sacrificale. Dietrologia.
Io credo che la realtà sia molto più semplice, che non ci sia bisogno di immaginare poteri occulti.

Intanto il vecchio, sempre più rincoglionito, vuole fare il seduttore con una ragazza che, è inutile dire, potrebbe essere sua nipote, ma, fra le tante addestrate dalle madri e dai padri a fare le ochette, gliene capita una più intelligente che lo mette a tappeto rivelandogli l’evidenza: è patetico.
C’è una discussione accesa con Veronica, alla fine della quale lui le fa la domanda che molti di noi avrebbero voluto farle (molti dei pochi con cui parlo): perché ci hai messo tanto per capire che avevi a che fare con un malato, come hai dichiarato in una lettera a Repubblica?
La risposta della Veronica del film, forse ricavata da qualche intervista della Veronica vera, o forse immaginata dal regista, non è convincente, almeno per chi pensa che la vita non si debba impostare come una canzonetta del Festival di Sanremo. Se canzone dev’essere, almeno scegliamone una che duri più delle tre, quattro giornate del festival. Ci sono. Basta essere esigenti e – perché no? – un po’ snob, per trovarle.

Il film è un susseguirsi di scene precise, necessarie, con qualche simbolo di troppo, di difficile interpretazione: la pecora che guarda fissamente il condizionatore mentre la televisione trasmette i quiz del povero Mike.
Molto bella la conclusione: il terremoto nell’Italia centrale, inserito perfettamente nel racconto, senza nessuna forzatura, con l’episodio sublime, credo realmente accaduto, della povera vecchia che aveva perso la dentiera e con la carrellata finale sui terremotati e sui pompieri davanti alle macerie, che richiama alla realtà di un povero paese in balia di un venditore di fumo.