6 settembre 2023 h 16.30
The Space Cinema – Novoli

Altro film del regista: // Tenet //

La Storia siamo noi
// Campo di battaglia (la prima guerra mondiale) // La zona d’interesse (la penetrazione del nazismo nelle coscienze) // Napoleon (1769 – 1821) // Oppenheimer (l’inizio dell’era nucleare) // Casablanca (amore e guerra) // Rapito (il caso Mortara) // “Buongiorno, notte” e “Esterno notte: prima parte” (stesso commento; il caso Moro) // “Esterno notte: seconda parte” (il caso Moro) // Belfast (il conflitto nordirlandese) // L’ombra del giorno (fascismo e persecuzione degli ebrei) // Illusioni perdute (la società francese negli anni della Restaurazione) // Est Dittatura Last Minute (i paesi dell’Est negli anni dell’Unione Sovietica) // 1917 (la prima guerra mondiale) // Jojo Rabbit (nazismo) // Herzog incontra Gorbaciov (la fine dell’Unione Sovietica) // Hammamet (la fine di Craxi) // J’accuse (il caso Dreyfus) // La Favorita (i guai della Gran Bretagna al tempo della regina Anna, 1708) // Cold War (la guerra fredda) //

Negli anni trenta del novecento un gruppo di giovani scienziati, guidati dal professor Enrico Fermi, anche lui giovanissimo, conduceva ricerche avanzate nei locali della facoltà di Fisica dell’università di Roma, al n.89 di via Panisperna.
I “ragazzi di via Panisperna” (oltre a Fermi: Franco Rasetti, Emilio Segrè, Ettore Majorana, Enrico Persico, Bruno Pontecorvo (fratello di Gillo), Edoardo Amaldi, Oscar D’Agostino) studiavano e verificavano sperimentalmente le più recenti teorie nel campo della Fisica nucleare e della Meccanica quantistica, che aveva aperto campi di indagine fino ad allora inesplorati.
Il gruppo realizzò un esperimento fondamentale: la “fissione nucleare” e conseguente trasformazione della massa in energia prevista dalla famosa equazione di Einstein:

Da questa formula si capiscono tre cose fondamentali: 1) la massa si può trasformare in energia; 2) il principio di conservazione di Lavoisier, stabilito alla fine del ‘700 (“In natura nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”), trova conferma nelle trasformazioni della massa in energia; 3) la quantità di energia che si ottiene in conseguenza della trasformazione di una determinata quantità di massa è enorme (il risultato del prodotto della massa per il quadrato della velocità della luce).
In effetti anche una reazione chimica esotermica (combustione) produce calore. Però in quel caso si modificano solo i legami tra gli atomi delle sostanze reagenti. Quegli atomi si trovano, sebbene con legami diversi, anche nei prodotti della combustione. Nella fissione nucleare una parte della massa sparisce e al suo posto si trova una quantità di energia equivalente secondo la formula di Einstein.

I giovani fisici italiani – guidati da Enrico Fermi (premio Nobel 1938) – non pubblicarono la scoperta della possibilità di realizzare in laboratorio la scissione del nucleo perché non disponevano degli strumenti sofisticati necessari per eseguire le verifiche.
Successivamente i fisici Lise Meitner e Otto Frisch rifecero gli esperimenti del gruppo di Fermi e, infine, Otto Hahn e Fritz Strassman confermarono la possibilità di dividere il nucleo degli atomi bombardando con neutroni lenti l’uranio arricchito dell’isotopo 235 (o il plutonio 239) in una concentrazione che si chiama massa critica.
Dalla fissione nucleare si ottengono tre prodotti: 1) frammenti radioattivi, per i quali si deve trovare un posto sicuro a prova di terremoto; 2) una grande quantità di energia, secondo la formula di Einstein; 3) altri neutroni lenti che colpiscono altri nuclei, dando luogo alla cosiddetta “reazione a catena”.
Schematicamente: l’interazione [neutroni + nucleo] produce due frammenti + energia + neutroni; i neutroni vanno a scindere altri nuclei … e così via; la reazione a catena procede finché ci sono nuclei di U 235 o di Pu 239.
Risultato: energia e frammenti radioattivi.
La somma delle masse dei frammenti è inferiore alla massa dei nuclei che si sono scissi; dunque una parte della massa si è trasformata in energia.
La reazione a catena si può rallentare o interrompere introducendo barre di grafite che assorbono i neutroni (per così dire: i “proiettili”).
In assenza di controllo si ha un’esplosione di grande potenza.
Fermi realizzò, nel 1942, dopo essere emigrato in America, la prima centrale nucleare (Chicago Pile 1: la cosiddetta “pila di Fermi”).

Tutti i fisici dell’epoca si occupavano di questi argomenti (in sostanza: la struttura dell’atomo e la trasformazione della massa in energia); in particolare se ne occupavano gli scienziati tedeschi. In Germania lavoravano, prima che molti di loro scappassero in America per sfuggire alla dittatura e alle persecuzioni razziali, i fisici più importanti del mondo.
Se gli scienziati rimasti in Germania, collaboratori del regime, fossero riusciti per primi a realizzare la bomba nucleare, le sorti della guerra (e del mondo) sarebbero state segnate.
Il capo del progetto tedesco era Werner Heisenberg, un fisico di grande fama e importanti intuizioni (principio di indeterminazione). Purtroppo pare accertato che Heisenberg, nonostante i suoi dubbi, abbia messo la propria scienza al servizio della Germania nazista.

Era necessario raggiungere il risultato prima degli scienziati tedeschi asserviti al regime.
Albert Einstein, rifugiato in America come tanti altri per sfuggire alla persecuzione degli ebrei, convinse il presidente americano Franklin Delano Roosevelt a ostacolare, con azioni di intelligence militare, il progresso degli esperimenti in Germania e avviare un programma per la realizzazione della prima bomba nucleare. Il comando del progetto, chiamato Manhattan, fu affidato al generale Leslie Groves, il quale diede a Robert Julius Oppenheimer, un fisico americano di origine tedesca (il padre Julius era approdato negli Stati Uniti nel 1888), la direzione tecnico-scientifica.

Oppenheimer riunì scienziati provenienti da tutto il mondo, tra i quali il nostro Fermi, nel frattempo rifugiato in America per sfuggire all’antisemitismo che il regime fascista aveva reso esplicito con il “manifesto della razza ariana”: Laura Capon, moglie di Enrico, era ebrea e la parte della sua famiglia originaria rimasta in Italia subì le persecuzioni razziali.
Dopo la cerimonia del Nobel, a Stoccolma il 10 dicembre 1938, Fermi non era tornato a Roma ma era partito con la moglie e i figli per gli Stati Uniti.
In America lavorava presso la Columbia University quando fu invitato da Oppenheimer a partecipare al progetto Manhattan per la realizzazione della prima bomba nucleare.
Per mettere insieme i contributi di tanti scienziati su un unico progetto senza allontanarli dalle famiglie fu costruita una cittadina in una zona semideserta del New Mexico: Los Alamos.

Il progetto raggiunse la conclusione nel maggio 1945, dopo che la Germania si era arresa e la guerra in Europa era finita.
Perché gli americani non si fermarono?
La guerra continuava nel Pacifico: il Giappone infliggeva gravi perdite alla marina americana con i piloti kamikaze.
Per costringere i giapponesi ad arrendersi, il presidente Truman decise di usare la nuova arma. Il 6 agosto 1945 fu sganciata una bomba nucleare su Hiroshima; tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, una bomba nucleare fu sganciata su Nagasaki. Le due città furono rase al suolo; circa duecentomila persone (soprattutto donne e bambini) furono le vittime dirette immediate delle esplosioni, tra morti e feriti; altre migliaia di vittime subirono le conseguenze dell’assorbimento massiccio di radiazioni.
La prima bomba doveva mostrare la potenza e la capacità distruttiva della nuova arma, la seconda segnalava la determinazione a usarla fino a distruggere, una a una, tutte le città giapponesi.
Il Giappone si arrese il 2 settembre 1945. Che cosa frullò nella testolina divinamente stupida dell’imperatore dal 9 agosto al 2 settembre? Mistero.

Finita la guerra, come succede di solito cominciò il dopoguerra, questa volta caratterizzato dalla minaccia nucleare. La contrapposizione tra le potenze che dominano la Terra ebbe tra le possibili risoluzioni l’autoestinzione dell’homo sapiens. Boom … un fungo atomico … un altro fungo … fine dei giochi.
L’idea che queste armi siano in possesso o possano cadere nelle mani di un dittatore russo, di un folle nordcoreano, di una cricca di fanatici sacerdoti iraniani, di un presidente americano di nome Trump (basta la parola) fa venire i brividi.
Oppenheimer, Einstein e altri scienziati tentarono inutilmente di opporsi a questo sviluppo delle cose. Proposero accordi con la potenza che allora si opponeva (praticamente da sola) agli Stati Uniti d’America: l’Unione Sovietica. Qualcosa si riuscì a realizzare, qualche accordo fu siglato dalle due parti.
L’equilibrio è crollato e, con esso, è finita la fase dei patti tra nemici. Ora siamo alla fase in cui non si rispettano i patti.

Il film, molto dialogato, è tratto dalla biografia di Robert J. Oppenheimer, accurata e completa (anche troppo, piena di informazioni inutili che fanno perdere di vista l’essenziale), scritta da Kai Bird e Martin J. Sherwin (Edizione italiana Garzanti).
Altri scienziati fanno da cornice al personaggio principale che dà il titolo al libro e al film.
Enrico Fermi diede un importante contributo al progetto Manhattan: nel libro è appena citato, nel film appare di sfuggita come autore di una ipotesi catastrofica: la bomba nucleare potrebbe innescare un’esplosione inarrestabile. Probabilmente in quell’ambiente era difficile capire l’umorismo di un ironico scienziato italiano.
Dal punto di vista puramente scientifico l’apporto di Fermi e di altri fisici fu più importante dell’apporto di Oppenheimer, che svolse soprattutto attività di organizzazione e di coordinamento. Si accollò i rischi di un progetto costosissimo da portare a conclusione in tempi rapidi, superando enormi difficoltà e muovendosi in un campo inesplorato. La scienza non va mai sul sicuro e l’insuccesso è nell’ordine delle cose. L’insuccesso del progetto Manhattan sarebbe stato una catastrofe, da diversi punti di vista. La tensione per la riuscita di un test ebbe un sovraccarico di suspense, come si vede bene nel film (la parte più riuscita). Molti scienziati e tecnici si ammalarono in conseguenza del contatto con sostanze radioattive.

Faccio fatica a esprimere un’opinione complessiva sul film perché sono convinto che solo in casi rari un film dovrebbe superare la classica durata (circa novanta minuti). Questo raggiunge 180 minuti. Risultato: calo di concentrazione, non solo degli spettatori; a guardare bene si vedono i personaggi lanciare sguardi disperati oltre lo schermo: dopo due ore di dialoghi anche i personaggi – non gli attori, i personaggi – non ce la fanno più; suppongo sia una mia impressione, ma non è detto.
Ammetto solo rare eccezioni alla regola della durata di un film. Devo controllare quanti minuti dura C’era una volta in America, ma è un tempo giustificato e speso bene: è l’eccezione che conferma la regola; infatti i personaggi sono concentrati fino alla fine. In realtà Sergio Leone aveva realizzato una versione che durava 4 ore e 29 minuti. Io non ce l’avrei fatta (e neanche i personaggi, credo). Furono i produttori americani a tagliare il film per renderlo fruibile nelle sale. Come l’hanno montato? Secondo me molto bene. Avevano il diritto di farlo? C’era un contratto che Sergio Leone aveva firmato. Non ho visto le scene eliminate contro la volontà del regista. Secondo me la versione uscita nelle sale è un capolavoro e di una cosa sono certo: non ce l’avrei fatta a vedere un film che dura quattro ore e mezza.

Nel caso del film Oppenheimer c’è un’evidente ridondanza e non c’è stato qualcuno che si prendesse la responsabilità di accorciarlo.
In fondo il regista ci racconta una cosa sola e ce la ripete dall’inizio alla fine: gli scienziati sono sfruttati dai politici per raggiungere i loro obiettivi (esercitare il potere senza scrupoli e limiti); poi, quando non servono più, sono buttati via («Non fatemelo vedere più» disse Truman).

Christopher Nolan non si concede il lusso della sintesi, come al mercato deve mostrare tutte le cianfrusaglie, tanto che le sale cinematografiche sono costrette a inserire un’interruzione, una specie di intervallo tra il primo e il secondo tempo che suscita negli spettatori della mia generazione un po’ di nostalgia al ricordo di quando l’operatore cambiava la pizza (il rotolo intorno al quale era avvolta la pellicola di celluloide) e nella sala entrava il venditore di noccioline, biscotti e bibite gassate (i puzzolenti popcorn sono arrivati dopo).