16 dicembre 2023 h 17.30
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto
I vecchi
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Tre carabinieri corrotti hanno incastrato Manuel, un giovane sprovveduto. Deve riprendere con il telefonino un ministro mentre partecipa a una “festa tra amici” (cocaina e sfruttamento della prostituzione). Per questo lavoro hanno ricevuto cinquantamila euro di anticipo e avranno altri soldi quando le registrazioni saranno disponibili.
Manuel si introduce nella “festa”, comincia a registrare, scopre che nell’ambiente ci sono telecamere nascoste, capisce che è stato ripreso mentre assumeva cocaina e può essere ancora di più ricattato. Ha paura e scappa.
Il film racconta la fuga di Manuel, la caccia spietata condotta dai tre carabinieri per riacchiapparlo ed eliminare un testimone pericoloso dei loro traffici. Il capo dei carabinieri corrotti si chiama Vasco.
Sono coinvolti tre ex appartenenti alla banda della Magliana dotati di simpatici nomi di battaglia: Polniuman, Daytona (padre di Manuel), Cammello.
Momento comico.
Cammello – Pierfrancesco Favino si dev’essere ispirato al soprannome per caratterizzare il personaggio – chiede al giovane Manuel di provare le cuffie; Manuel gli fa ascoltare la musica rap e lui capisce che ha sbagliato pianeta. Forse si aspettava di sentire i neomelodici. Alla fine è chiaro che si aspettava di sentire il Califfo. Tutti viviamo la nostalgia della gioventù; anche i delinquenti, i registi e gli spettatori.
Momento spirituale.
Quando Cammello, il personaggio più interessante del gruppo, ha detto: «Ogni secondo, nei dodici anni di galera, ho vissuto e coltivato il mio odio», ha dislocato l’aggressività sulla parete e si è fatto uscire sangue dalla fronte, ha confermato un distacco dalla materia paragonabile all’esperienza dei mistici. Per inciso: il sangue che sparge sulla faccia di Daytona è l’unico sangue vero del film.
Horror.
Polniuman, Daytona e Cammello, i tre sopravvissuti della banda della Magliana (è diventato un marchio di fabbrica), sono morti viventi.
Polniuman è cieco, Daytona non ci sta con la testa, Cammello è ammalato di cancro; sono zombi carichi di ricordi, rimorsi, sofferenze fisiche e odio, per se stessi e per gli altri, in particolare per i due ex compagni di banda.
Manuel si rivolge a Polniuman per essere aiutato (il padre è mezzo rimbambito); Polniuman lo manda da Cammello, sapendo che la situazione è pericolosa e l’affare finirà male. Cammello odia Daytona, il padre di Manuel: per colpa sua ha perso il figlio e ha dovuto scontare dodici anni di carcere.
La situazione è complicata e non ha via d’uscita.
Una soluzione facile facile ci sarebbe: Manuel potrebbe mettersi in treno e andare a Bologna, dove conosce delle persone che lo possono aiutare. Scappando via da Roma si sottrarrebbe alla caccia.
Imboccherà questa soluzione molto tardi. Perché non la sceglie subito? Perché coinvolgere e mettere nei guai tre poveri vecchi?
L’interpretazione di Valerio Mastandrea, Toni Servillo e Pierfrancesco Favino di questi personaggi contraddittori (nello stesso tempo cattivi e di buon cuore, feroci e teneri, dotati, a modo loro, di valori e capaci di sacrificarsi) è l’unica cosa che si salva in un thriller privo di suspense. Se la sceneggiatura li avesse aiutati, avrebbero fatto un buon film, ma non è accaduto. La sceneggiatura fa acqua da tutte le parti.
La violenza eccessiva nella vita è devastante, al cinema non ha effetto: i pugni sembrano finti, le cadute rovinose evocano lo stuntman (in italiano: cascatore), il sangue non impressiona (ci sono film in cui i pugni sono veri, il sangue è vero, anche se non abbondante e rosso come in questo).
Si vede che è finto il sangue che esce a fiotti dalla ferita nella pancia di Vasco, il carabiniere che, in combutta con altri due, ha stretto Manuel in un ricatto per prendere una busta con tanti soldi.
Con quella ferita rattoppata alla meglio Vasco corre avanti e indietro per tutto il film; all’inizio sembra camminare con difficoltà, poi se ne dimentica: cammina, corre, spara come se niente fosse. Una bella resistenza, non c’è che dire!
Nel frattempo gli è stato applicato sul collo un oggetto contundente affilato con il quale ha rischiato di essere scannato da Daytona, il padre di Manuel che soffre di demenza senile a fasi alterne: up e down (per questo si diceva mezzo rimbambito).
Dev’essere in una fase down quando suggerisce al figlio di tornare a casa perché ha risolto tutto. Non ha risolto nulla, si fa catturare stupidamente e riesce a metterlo ancora più nei guai: un esercizio che al figlio riesce bene anche da solo.
Qui dovrebbe interrompere la lettura chi non ha visto il film e non ama lo spoiler.
Manuel ha la specialità di far morire di morte violenta quelli che avvicina; alla fine si salva solo lui e si libera delle cuffie, forse pensando che gli portavano scalogna; ma intanto tutti i personaggi di primo piano se ne sono andati; sopravvivono solo i figli di Vasco, la moglie di Cammello e un carabiniere corrotto su tre.
Interessante lo smartworking, che fa pensare a un film distopico. Nella Roma attuale nessuno dispone di collegamenti efficaci, continui e veloci come quelli che si vedono nel film: collegamenti immediati con ambienti esterni e interni, che consentono a Vasco di seguire nei dettagli, da casa sua, la festicciola tra amici (amici un po’ particolari) a cui partecipa il ministro. Vasco segue i suoi traffici mentre butta la pasta per godersi la cena insieme ai figli: smartworking.
Una domanda: se l’ispettore ha a disposizione telecamere con riprese in primo piano e collegamenti efficienti, per quale motivo ha incaricato il ragazzo di registrare la presenza del ministro in quella festa particolare? Avrebbe potuto registrare lui da casa, evitando di sottoporsi a un possibile ricatto di ritorno da parte di Manuel. Sa che il ragazzo è figlio di un ex b.d.M. (copyright) e potrebbe disporre di amicizie pericolose.
In questo film le soluzioni facili non sono prese in considerazione da nessuno: i personaggi amano complicarsi la vita e sbattere come mosche chiuse in una stanza, avanti e indietro contro i vetri delle finestre.
Nonostante il ragazzo sia scappato dalla festa, alla fine quel poco che ha registrato è sufficiente per ritirare i soldi e far dimettere il ministro.
La caccia si svolge in una Roma irriconoscibile, distrutta dal caldo e dagli incendi. Piove cenere; blackout continui. Ciononostante i collegamenti in rete sono perfetti. Treni bloccati in stazione, la luce va e viene, però il traffico di dati viaggia nella rete, mentre il traffico delle automobili impazzisce. Le macchine ferme sono l’unico elemento di realtà di un film nero, horror e distopico.
Nella confusione della stazione Tiburtina, impazzita come il traffico, il ragazzo è individuato sugli schermi in mezzo a una folla straripante. «Hai visto un giovane con le cuffie?»; l’addetto alle informazioni è fornito di spirito di osservazione: lo ha visto e lo ricorda; evidentemente è l’unico giovane con le cuffie che ha chiesto informazioni per andare a Bologna. Gli altri o non erano giovani, o non avevano le cuffie, o non volevano andare a Bologna ma in qualche altro posto.
Manuel viene raggiunto sui binari. In quel momento i due carabinieri dimenticano che ci sono telecamere in stazione e sparare tra la folla servirà solo ad aggravare la loro posizione.
Prima di trovare la soluzione (scappare a Bologna) il ragazzo cocciuto deve inguaiare gli ex della b.d.M. (copyright), sopravvissuti come zombi che non riescono a morire definitivamente. Alla fine sembra che ci riescano, salvo sorprese nel prossimo film di Sollima; potremmo scoprire che Daytona è scappato dallo sfasciacarrozze, che Polniuman fingeva di essere cieco, che Cammello si è alzato dalla scala mobile ed è andato a prendere la metropolitana per tornare a casa. Si sa che gli zombi si risvegliano per fare un nuovo film.
Franco Califano, sul finale, canta Tutto il resto è noia, manifesto di un ambiente romano anni settanta in cui c’era molta delinquenza (Turatello, cocaina, banda della Magliana, servizi segreti deviati), ma anche l’amore per le piazze di Roma e per i giri di notte tra i monumenti della città eterna; è questa la canzone che Cammello sperava di sentire quando ha messo sulle orecchie le cuffie di Manuel, avendo davanti e all’orizzonte una città in dissoluzione.