15 luglio 2024 h 16.20
Cinema Odeon Pisa – piazza San Paolo all’Orto
Film dei registi: // La terra dell’abbastanza // Favolacce // America Latina // Dostoevskij //
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“
// Campo di battaglia (la prima guerra mondiale) // Dostoevskij // Another End // Silent Land (la morte di un immigrato) // Marx può aspettare (la morte di un fratello) // Se c’è un aldilà sono fottuto (la morte di Claudio Caligari) // Hart Island, Bronx (racconto) // La bicicletta (racconto) // Si vedono i primi segni (racconto) // 1917 (la prima guerra mondiale) // Hammamet (la morte di Craxi) // Il settimo sigillo (la morte) // Il sacrificio del cervo sacro (la maledizione) //
Famiglia (genitori e figli)
// Il tempo che ci vuole // Dostoevskij // Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato // Enea // Club Zero // Come pecore in mezzo ai lupi // Ritorno a Seul // Beau ha paura [Beau is afraid] // Miracle: Letters to the President // The Whale // Le vele scarlatte // The Fabelmans // Marcel! // True mothers // Una vita in fuga // One second // Cry Macho // È stata la mano di Dio // Madres paralelas // Raw // Titane // Tre piani // La terra dei figli // Favolacce // Tutto il mio folle amore // Un affare di famiglia // La stanza delle meraviglie // Lady Bird /e/ Puoi baciare lo sposo // Tre manifesti a Ebbing, Missouri //
I film di Damiano e Fabio D’Innocenzo.
1) “La terra dell’abbastanza” (2018);
2) “Favolacce” (2020);
3) “America Latina” (2022).
4) Sceneggiature di film diretti da altri registi. Di questi solo “Bassifondi”, regia di Francesco Pividori, merita di essere raccontato.
5) “Dostoevskij”. Al cinema è diviso in due atti; sarà riproposto come serie televisiva in sei parti.
Il poliziotto Enzo Vitello è feroce con se stesso e con gli altri.
Sguardo severo. Fa due sorrisi in tutto il film (cinque ore). Quando la cameriera gli chiede: «Acqua liscia o frizzante?» risponde: «Liscia» e sorride.
Un altro sorriso, trattenuto, quando compie una buona azione: fa pagare alla coppia di giovani che vogliono comprare la sua casa ma non hanno abbastanza soldi la metà della somma inizialmente chiesta.
Fa bene, non solo per la buona azione, ma anche perché quei soldi vanno alla figlia Ambra, che li userà per continuare a drogarsi.
A chi si droga non bisogna dare soldi, per metterlo con le spalle al muro e costringerlo ad arrendersi alla realtà. Questo consiglio veniva dato negli anni ottanta dagli esperti delle comunità terapeutiche (Progetto Uomo) ai genitori dei giovani tossicodipendenti: meglio rischiare che facciano una brutta fine cercando di procurarsi i soldi per la dose che averne la certezza (l’idea era che con la droga la brutta fine era certa).
Non so se ora, con le sostanze ancora più potenti in circolazione, danno lo stesso consiglio.
C’è una scena in cui il padre vede le cicatrici dei buchi sul braccio di Ambra che sta dormendo. Una volta erano il segno distintivo (insieme all’AIDS) dei tossicodipendenti; chi finiva le braccia cominciava con le gambe.
Un segno che mi sembra decisamente di un’altra epoca è l’autoscontro. È tanto che non ne vedo uno e non immaginavo che una ragazza moderna, potendo scegliere una cosa da fare, chiedesse di andare in giostra, di fare un giro nell’autoscontro e un tuffo nei giochi dei bambini.
Ma è una ragazza particolare, figlia del poliziotto Enzo Vitello, un uomo particolare che, quando era una bambina, si allontanò da lei per motivi particolari.
È il dramma rappresentato nell’ultimo film dei fratelli D’Innocenzo.
Il tema è sempre lo stesso: la degradazione dell’uomo. Fin dal primo lungometraggio i due registi rappresentano uomini che si sono perduti (in Dostoevskij si è aggiunta una ragazza) e percorrono una discesa verso l’inferno. Non c’è una possibilità di risalita. A ogni passo scendono sempre più giù e accumulano sensi di colpa. Nei film di questi due registi le convenzioni sociali sono finzione, la realtà è degradazione. Enzo Vitello ha deciso di abolire le convenzioni sociali. «Vuoi bere qualcosa?» gli chiede il collega nuovo per rompere il ghiaccio. «Sì» risponde lui; entra in macchina, chiude le porte e mette in moto. Evidentemente non vuole fingere di essere amico del collega nuovo, che considera ruffiano e arrivista.
In “America Latina” la degradazione trova una spiegazione nella psicosi (è il film più debole e che più assomiglia a questo); negli altri, compreso “Bassifondi”, di cui sono sceneggiatori, non ci vengono spiegati i passaggi intermedi. Troviamo la degradazione in atto, in pieno svolgimento.
Sappiamo poco di Mirko e Manolo prima che il caso e il padre di Manolo li spingano a mettersi al servizio della malavita; sappiamo poco degli abitanti di Spinaceto: li vediamo impegnati a divorarsi a vicenda e a divorare i figli ma non ci viene spiegato il retroterra che li ha portati a quella condizione. Non sappiamo come Romeo e Callisto si siano ridotti a dormire sotto un ponte del Tevere. Sappiamo poco del dentista; alla fine di lui conosciamo qualcosa di più, insieme al poliziotto Enzo Vitello, di cui sappiamo molto, dopo un duro e sincero scambio di ricordi, di accuse, di scuse, di verità inconfessabili con la figlia Ambra. Enzo Vitello è l’unico al quale si apre una possibilità di resurrezione, in un prossimo film che si potrebbe chiamare Tolstoi.
Vediamo quale potrebbe essere la trama del sequel. Creduto morto, Enzo farà per alcuni anni la vita del barbone in una città sconosciuta. Temo che i fratelli D’Innocenzo non eviteranno la bastonatura ad opera delle solite bande di ragazzi avvinazzati. Poi un episodio gli darà la possibilità di risorgere (potrebbe salvare qualcuno, forse proprio uno dei ragazzi della banda). Risorge, si ripulisce, cura gli acciacchi e le malattie. Diventato vecchio, un vecchio saggio dall’aspetto tolstoiano, prima di morire avrà il desiderio di scoprire che cosa è stato di Ambra, che cosa è stato del suo capo e amico (l’unico che lo riconoscerà in punto di morte, come il cane Argo riconobbe Ulisse). Visiterà i luoghi del suo inferno, compresa la casa, e scoprirà che ha contribuito al formarsi di una bella famiglia. Finalmente si meriterà la morte. Questo potrebbe essere il sequel. Ma nel secondo atto di Dostoevskij il povero Enzo si trova nell’inferno.
Nel degrado si rivela l’uomo, ridotto alla sua carne, debole, malata, sofferente e esigente, al suo corpo bisognoso di pillole e di colonscopie. Pasolini aveva tentato di rappresentare il corpo degradato, in particolare in Porcile e in Salò, riuscendo solo a farne un simbolo. Nei film dei fratelli D’Innocenzo non ci sono simboli, c’è la materia presente in sala operatoria (cuciture chirurgiche comprese).
Con la disponibilità attuale di mezzi e di tempo (“Dostoevskij” dura cinque ore) il corpo di Enzo Vitello, del suo capo, del poliziotto che lo sostituisce, degli altri agenti, della figlia Ambra, del “mostro”, è rappresentato in tutta la sua degradazione, fino ad arrivare a scene da film horror.
Lo stile visivo è sempre l’iperrealismo scelto dai registi fin dal primo lungometraggio: primi piani estremamente ravvicinati e dettagliati al punto da raggiungere l’astrazione, che ci protegge da una visione impressionante.
Solo i morti hanno raggiunto la fissità e la serenità, sono liberi dai bisogni e dal terrore. Anche un “mostro” può fare pena se il buono si accanisce senza pietà e non vuole concedergli la morte.
Il grande Filippo Timi espone con la consueta generosità un corpo dolorante, affaticato, che vorrebbe morire ma non riesce.
Dall’inizio alla fine la morte è un premio per uscire dal dolore. Nell’incipit è riassunto il senso del film, che si ritrova alla fine. “La morte si sconta vivendo” dice Giuseppe Ungaretti in una poesia che viene spesso alla memoria guardando questo film. Il verso del poeta diventa: “La morte si sconta soffrendo”.
C’è poco da raccontare della trama, nella prima parte. Nella seconda il racconto si complica, si complica troppo per i miei gusti e per la mia capacità di concentrarmi per cinque ore su una trama che raggiunge vette di inverosimiglianza.
Eravamo in pochi in sala a luglio quando la futura serie è stata proiettata nelle sale cinematografiche, divisa in due parti (in televisione, in autunno, sarà divisa in sei puntate, mi sembra). Faccio una previsione: pochi spettatori seguiranno la serie in televisione dopo le prime puntate. Le immagini della seconda parte sono troppo scure e dure per desiderare di vederle sullo schermo piccolo del televisore, nel conforto della propria casa. Occorre la situazione straniante di una sala cinematografica. Inoltre: il thriller è contorto, poco chiaro nel suo svolgimento.